Errore in fattura, si sana con nota di variazione

L’emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’IVA, ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72, rappresenta lo strumento principale (e generale) per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione.
Qualora si riscontri un’impossibilità oggettiva di emettere nei termini l’anzidetta nota di variazione, è comunque possibile per il soggetto passivo fare ricorso all’istituto della restituzione dell’IVA da parte dell’Erario, disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

I suddetti principi sono stati formulati dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 762, pubblicata il 4 novembre 2021, in coerenza con un precedente proprio intervento sul tema (risposta n. 663/2021).
In merito alla possibilità generalizzata di avvalersi della nota di variazione come strumento “correttivo” di eventuali errori di fatturazione (fermo il termine annuale per l’emissione del documento ai sensi dell’art. 26 comma 3 del DPR 633/72), si può affermare che l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sia sufficientemente espansiva rispetto al tenore della norma di riferimento.

L’art. 26 comma 3 del DPR 633/72 contempla, infatti, la variazione in diminuzione dell’imponibile e/o dell’imposta in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo ad operazioni inesistenti in applicazione dell’art. 21 comma 7 del DPR 633/72.

C’è da dire che, in linea generale, non tutti gli errori di fatturazione integrano l’inesistenza dell’operazione.
Per contro, l’affermazione delle Entrate è improntata a condivisibili canoni di ragionevolezza, giacché la correzione di una fattura errata dovrebbe essere sempre garantita, a maggior ragione quando gli elementi da variare siano solamente formali (ad esempio, per una non perfetta coincidenza con i dati anagrafici richiesti ai sensi dell’art. 21 comma 4 del DPR 633/72).

Sotto un altro profilo, è importante la conferma che il cedente o prestatore possa effettuare la variazione in diminuzione nell’ipotesi in cui abbia addebitato l’imposta in eccesso, come nel caso in cui abbia applicato il regime di imponibilità in luogo di quello di esenzione o non imponibilità.

Si ricorda, infatti, come secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24289/2020), oltre che per la stessa Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 51/2021), nel caso appena descritto, il cessionario o committente non possa esercitare il pieno diritto alla detrazione per l’IVA eccedente e sia sanzionato nella misura proporzionale del 90% del tributo (art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97).

Come indicato nella risposta a interpello n. 762/2021, dunque, lo strumento principale e generale per rimediare è rappresentato proprio dalla nota di variazione.
Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate, con il documento di prassi appena richiamato, riconosce anche – a determinate condizioni – la possibilità, per il cedente o prestatore, di recuperare l’imposta mediante l’istituto disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

Si osserva che la norma appena richiamata riveste “carattere residuale ed eccezionale, la cui applicazione è riservata ai casi in cui sussistano condizioni oggettive che non consentono il recupero dell’IVA secondo il metodo più generale, vale a dire l’emissione della nota di variazione in diminuzione ex art. 26 del DPR 633/72”.

Sulla scorta della pronuncia della Cassazione n. 20843/2020, l’Agenzia chiarisce che il diritto al rimborso ex art. 30-ter del DPR 633/72 è comunque riconosciuto, nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta, laddove vi sia stato un errore a fronte del quale “il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente” (si veda anche Corte di Giustizia Ue 11 aprile 2013, causa C-138/12). È il caso in cui la fattura erroneamente emessa “sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti o in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione)”.

Nel caso di specie il cessionario o committente non ha mai annotato le fatture ricevute nel registro degli acquisti, né esercitato il diritto alla detrazione. Per questa ragione, secondo le Entrate, essendo decorsi i termini per emettere la nota di variazione, il soggetto passivo può avvalersi dell’istanza di cui all’art. 30-ter.

È ragionevole, dunque, che qualora il cessionario o committente si avveda dell’errore nell’applicazione dell’IVA non provveda alla registrazione del documento e all’esercizio del diritto alla detrazione. Così facendo, oltre a non incorrere nella sanzione proporzionale, ai sensi dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97, consentirebbe al cedente o prestatore un più ampio margine per il recupero dell’imposta erroneamente addebitata (anche oltre il termine annuale, mediante l’istituto di cui al citato art. 30-ter).

Occorre segnalare che, secondo l’Amministrazione finanziaria, è inibita la restituzione dell’imposta di cui all’art. 30-ter, richiesta dal soggetto passivo “per ovviare alla scadenza del termine per l’esercizio alla detrazione, qualora tale termine sia decorso per «colpevole» inerzia del soggetto passivo” (si veda anche la risposta n. 592/2020).

Resta da confermare l’ulteriore possibilità, per il soggetto passivo, di emendare l’errata fatturazione mediante ricorso all’istituto della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 8 comma 6-bis del DPR 322/98 (negato nella precedente risposta n. 663/2021).

You must be logged in to post a comment.