Credito Imposta e Industria 4.0 – contabilizzazione

Note teoriche aggiornate al 18-06-2021

Sono contributi in conto impianti (

Nonostante l’art. 1 commi 1051-1063 della L. 178/2020 (legge di bilancio 2021) non entri nel merito della modalità tecnica con cui effettuare l’investimento in beni strumentali nuovi ai fini del riconoscimento del relativo credito d’imposta, pare più che ragionevole ritenere che possano godere dell’agevolazione in esame non solo gli acquisti a titolo di proprietà, ma anche le acquisizioni attraverso contratti di locazione finanziaria, qualora si consideri che il comma 1054, relativamente ai predetti contratti, dispone che il costo agevolabile per l’utilizzatore è quello sostenuto dalla società locatrice per il relativo acquisto.

Ed è proprio l’acquisizione mediante contratto di leasing che richiede l’individuazione della corretta modalità di contabilizzazione del credito di imposta.
Le problematiche contabili che si devono affrontare riguardano, da un lato, la natura del componente economico da iscrivere a fronte del credito d’imposta e, dall’altro, l’imputazione temporale di detto componente economico, considerando che né la norma di legge, né i principi contabili nazionali disciplinano la tematica in questione.

Ci si potrebbe rifare a quanto previsto dal documento OIC 11 in tema di determinazione del trattamento contabile delle fattispecie non previste dagli OIC, il quale richiede all’impresa di sviluppare uno specifico trattamento contabile che si riferisca, in ordine gerarchicamente decrescente, alle disposizioni contenute in altri OIC che trattino casi simili e che si possano adattare alla fattispecie in esame e, successivamente, alle finalità e ai postulati del bilancio.

Nel caso qui esaminato, si potrebbe sostenere che il principio contabile applicabile per analogia sia il documento OIC 16, nella parte in cui disciplina l’iscrizione in bilancio dei contributi pubblici commisurati al costo delle immobilizzazioni materiali.

Alla luce della predetta analogia, ed in considerazione della sua logica sottostante, il provento maturato in contropartita al credito d’imposta potrebbe essere assimilato ad un contributo in conto impianti, ovvero a fondi erogati “da un soggetto pubblico (Stato o enti pubblici) alla società per la realizzazione di iniziative dirette alla costruzione, riattivazione e ampliamento di immobilizzazioni materiali, commisurati al costo delle medesime” (OIC 16).

A tale conclusione si giungerebbe, sebbene il nostro sistema contabile non preveda ancora la rilevazione dei beni detenuti in locazione finanziaria nell’attivo di Stato patrimoniale, analizzando l’operazione di acquisizione in leasing (per la quale matura il contributo) da un punto di vista della prevalenza della sostanza economica della suddetta operazione (assimilabile ad un acquisto a titolo di proprietà), rispetto alla sua forma giuridica.

Il contributo in esame possiede, infatti, le stesse caratteristiche sostanziali di un incentivo ricevuto per l’acquisto in proprietà del medesimo bene, relativamente al quale (bene) la teorica mancanza di un costo di acquisto a cui commisurare il contributo (credito) spettante è normativamente compensata dalla previsione del comma 1054 sopra richiamato, che quantifica l’agevolazione alla luce del costo sostenuto dal locatore per l’acquisto del cespite.
Il secondo elemento da considerare al fine di contabilizzare correttamente il contributo in esame riguarda la competenza economica dello stesso.

Il documento OIC 16 prevede che i contributi in conto impianti siano rilevati a Conto economico con un criterio sistematico, gradualmente lungo la vita utile dei cespiti, mediante l’iscrizione a diretta riduzione del costo storico dell’immobilizzazione (metodo diretto), oppure attraverso l’imputazione a Conto economico nella voce “A.5 – Altri ricavi e proventi” e il successivo rinvio per competenza agli esercizi successivi, attraverso la tecnica dei risconti passivi (metodo indiretto).

Volendo applicare per analogia al contributo spettante per i beni acquisiti in leasing quanto previsto dal sopra richiamato OIC 16, ed in particolare avvalendosi del c.d. metodo indiretto, la società potrebbe iscrivere il suddetto contributo nella voce A.5 del Conto economico e, mediante la tecnica dei risconti passivi, imputare temporalmente tale contributo lungo la durata del contratto di leasing; in tal modo, si garantirebbe la correlazione costi-ricavi, elemento cardine del principio di competenza economica.

Ad una rappresentazione contabile similare si potrebbe giungere, peraltro, qualificando il credito di imposta in esame (in modo aderente al criterio di contabilizzazione delle operazioni di leasing previsto dal nostro ordinamento contabile) come un contributo in conto esercizio, in quanto finalizzato a ridurre l’onere sostenuto dal conduttore per le spese di esercizio rappresentate dai canoni di locazione finanziaria dovuti alla società concedente. Poiché i suddetti canoni si manifestano in diversi esercizi, alla luce del principio di competenza sopra richiamato, anche il contributo in oggetto andrà imputato a Conto economico in relazione alla durata del contratto di leasing (cfr. circolare Assonime n. 46/1999).

In contabilità ordinaria è necessaria la ripresa essendo questi crediti irrilevanti ai fini IRPEF, IRES, IRAP e del ROL, tale iscrizione in bilancio comporta l’obbligo di rilevare delle rettifiche dal punto di vista fiscale che:

  • nel quadro RF trovano allocazione nel rigo RF55 (Mod. Redd. PF, SP, SC) “Altre variazioni in diminuzione”.
    Riprendendo quindi l’esempio del paragrafo precedente, stante il credito d’imposta pari ad €. 15.000, nel rigo RF55 in colonna 1 andrà inserito il codice 99, mentre in colonna 2 bisognerà inserire l’importo relativo alla quota parte del credito spettante per l’anno (15.000 diviso 5 = 3.000).
    Di conseguenza la compilazione dovrebbe avvenire come di seguito rappresentato.

PARERE:

Secondo l’opinione prevalente, il credito d’imposta 4.0 costituisce un beneficio economico riconducibile alla fattispecie dei contributi in conto impianti, essendo finalizzato ad agevolare l’acquisto di beni strumentali attraverso una sovvenzione (da utilizzare in compensazione). Peraltro, il credito d’imposta 4.0 è utilizzabile non solo ad abbattimento (tramite compensazione) delle imposte sul reddito, ma di tutti i debiti fiscali che transitano, in termini di modalità di pagamento, sul modello F24. Tale caratteristica conferma la natura del credito d’imposta quale contributo in conto impianti piuttosto che come voce che va ad abbattere direttamente le imposte sul reddito alla voce E22 del conto economico. Pertanto, il credito d’imposta 4.0 va contabilizzato come un contributo in conto impianti (principio contabile Oic 16, paragrafi 86 e 88) nel momento in cui vi è la -certezza del relativo diritto nell’ambito dei risconti passivi, con imputazione all’esercizio della quota di competenza corrispondente al periodo di durata del leasing in tale esercizio rispetto alla durata complessiva, e così via per gli esercizi successivi. L’imputazione della quota di credito d’imposta di competenza nel singolo esercizio avviene a mezzo appostazione dello stesso nella voce A5 di conto economico (altri ricavi). Il credito d’imposta così imputato sarà poi oggetto di variazione in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi, essendo non imponibile.

I contributi in conto esercizio devono essere divisi per la durata del leasing

Acquisto impianto con contabilizzazione metodo diretto EXPERTUP contabilità ordinaria

Omaggi a dipendenti e clienti

Fattura emessa da fornitore per cesto natalizio a cliente (esempio emessa), METTERE N.2.2 FUORI CAMPO IVA

(Versione aggiornata al 15.12.2023) Le cessioni gratuite di beni, seppure prive del requisito di onerosità, sono assimilate alle cessioni di beni “in senso stretto”, come tali soggette alla disciplina dell’IVA (art. 2 co. 2 n. 4 del DPR 633/72).
A tale regola, tuttavia, fanno eccezione (e sono quindi escluse dal campo di applicazione del tributo):

  • le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, se di costo unitario non superiore a 50 euro;
  • le cessioni gratuite di beni per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta ex art. 19 del DPR 633/72, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36-bis del medesimo decreto.

Omaggi di beni non rientranti nell’attività propria d’impresa

Dal coordinamento tra l’art. 2 co. 2 n. 4 del DPR 633/72 e il successivo art. 19-bis1 co. 1 lett. h) deriva che, per i beni non rientranti nell’attività propria dell’impresa (non essendo di propria produzione o commercio), la cessione gratuita è sempre esclusa da IVA.
Infatti, l’art. 19-bis1 co. 1 lett. h) del DPR 633/72 prevede che sia indetraibile l’IVA assolta su beni e servizi che danno luogo a spese che si qualificano come di rappresentanza agli effetti delle imposte sul reddito, tra cui rientrano gli omaggi, salvo che per i beni di costo unitario non superiore a 50 euro.
Pertanto, gli omaggi di beni non rientranti nell’attività propria dell’impresa non integrano mai una cessione soggetta ad IVA:

  • o perché si tratta di beni di costo unitario non superiore a 50 euro;
  • o perché, pur essendo di costo unitario superiore a 50 euro, riguardano beni per i quali non è detraibile l’imposta assolta sull’acquisto.

Omaggi di beni oggetto dell’attività propria d’impresa

La cessione gratuita di beni alla cui produzione o alla cui commercializzazione è finalizzata l’attività dell’impresa è soggetta ad IVA indipendentemente dal costo (o valore) unitario dei beni (inferiore, pari o superiore a 50 euro) (art. 2 co. 2 n. 4 del DPR 633/72).
Gli acquisti di beni destinati ad essere ceduti gratuitamente, la cui produzione o commercio rientra nell’attività dell’impresa, non costituiscono spese di rappresentanza (C.M. 16.7.98 n. 188/E). L’IVA assolta all’atto dell’acquisto è pertanto detraibile, non trovando applicazione la previsione di indetraibilità oggettiva di cui all’art. 19-bis1 co. 1 lett. h) del DPR 633/72.

Omaggi ai dipendenti

I beni acquistati per essere ceduti a titolo di omaggio ai propri dipendenti non sono inerenti all’attività d’impresa e non possono nemmeno essere qualificati come spese di rappresentanza. Di conseguenza:

  • la relativa IVA è indetraibile;
  • la loro cessione gratuita è esclusa dal campo di applicazione dell’imposta ai sensi dell’art. 2 co. 2 n. 4 del DPR 633/72.

Se però gli omaggi sono rappresentati da beni oggetto dell’attività d’impresa:

  • spetta la detrazione dell’imposta;
  • la cessione gratuita è imponibile ex art. 2 co. 2 n. 4 del DPR 633/72.

Prestazioni di servizi gratuite

Ai sensi dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72, rientrano tra le operazioni rilevanti ai fini IVA le prestazioni di servizi gratuite:

  • di valore superiore a 50 euro;
  • sempreché l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile;
  • rese per finalità estranee all’esercizio dell’impresa (restano dunque escluse dal campo di applicazione dell’IVA le prestazioni rese gratuitamente per finalità proprie dell’impresa; cfr. risposta interpello 237/E/2019).

Dal tenore letterale dell’art. 3 co. 3 primo periodo del DPR 633/72, si desume che:

  • l’assoggettamento ad IVA riguarda solo le prestazioni gratuite rese da coloro che operano in regime di impresa;
  • sono, in ogni caso, escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA le prestazioni gratuite rese dagli esercenti arti e/o professioni.

Base imponibile

La base imponibile IVA delle operazioni effettuate a titolo gratuito è costituita (art. 13 co. 2 lett. c) del DPR 633/72):

  • per le cessioni di beni, dal “prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni” (secondo circ. Assonime 13.10.2009 n. 42, potrebbe tenersi conto anche delle spese sostenute successivamente all’acquisto del bene, come quelle per migliorie, riparazioni o completamento, nonché del deprezzamento che il bene ha subito nel tempo);
  • per le prestazioni di servizi, dalle “spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi”.

Obblighi documentali

La rivalsa dell’IVA non è obbligatoria per le cessioni di beni e prestazioni di servizi gratuite soggette ad imposta (art. 18 co. 3 del DPR 633/72).
In caso di applicazione della rivalsa, operano gli obblighi documentali ordinariamente previsti, mentre in assenza di rivalsa l’operazione può essere certificata, alternativamente (C.M. 27.4.73 n. 32/501388, § VI):

  • mediante autofattura emessa singolarmente per ciascuna cessione o mensilmente per le cessioni effettuate in un mese;
  • mediante annotazione nel registro degli omaggi.

Tali procedure, benché individuate per le sole cessioni di beni, dovrebbero potersi applicare anche per le prestazioni di servizi gratuite (cfr. circ. Assonime 1.8.96 n. 89).
È stato però chiarito che le modalità di documentazione delle operazioni gratuite senza rivalsa previste dalla citata C.M. 32/73 non sono ammesse per le operazioni soggette all’obbligo di memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi, per le quali l’art. 2 co. 5 del DLgs. 127/2015 impone l’emissione del documento commerciale o della fattura al momento dell’ultimazione dell’operazione (cfr. consulenza giuridica Agenzia delle Entrate n. 3/2022).

Fattura elettronica

Per quanto riguarda l’autofattura emessa in modalità elettronica tramite SdI per cessioni e prestazioni gratuite, essa deve riportare sia nel campo relativo al cedente/prestatore, sia in quello relativo al cessionario/committente, l’identificativo IVA del soggetto che emette il documento e, dall’1.1.2021, deve essere identificata dal codice documento “TD27” (cfr. Guida dell’Agenzia delle Entrate alla compilazione delle fatture elettroniche e dell’esterometro e circ. 14/E/2019, § 6.4).

Registrazione

Le cessioni gratuite di beni, anche se imponibili IVA, vanno rilevate esclusivamente nel registro IVA delle vendite (cfr. ancora circ. 14/E/2019, § 6.4), e non anche nel registro degli acquisti, poiché incrementerebbero illegittimamente l’imposta detraibile (Cass. 9254/92).

Assunzioni disabili, le agevolazioni

Al fine di realizzare una concreta promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, il legislatore ha introdotto, nel corso del tempo, diverse tipologie di incentivi volti ad aumentare l’occupabilità di tali soggetti riconoscendo, al contempo, ai datori di lavoro una riduzione del costo del lavoro.

Innanzitutto, l’art. 13 L. 68/1999, così come novellato dall’art. 10 D.Lgs. 151/2015, ha previsto, a favore dei datori di lavoro, un incentivo di tipo economico, rapportato alla retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali, che varia in funzione del grado e della tipologia di riduzione della capacità lavorativa del soggetto assunto.
L’incentivo è riconosciuto a tutti i datori di lavoro privati,soggetti o meno all’obbligo di assunzione di cui alla L. 68/1999, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno la natura di imprenditore.

Per quanto concerne la platea dei beneficiari, lo stesso può essere legittimamente fruito per l’assunzione delle seguenti categorie di lavoratori:

  • lavoratori disabili che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con D.P.R. 915/1978, e successive modificazioni;
  • lavoratori disabili che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% e il 79% o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria di cui alle già menzionate tabelle;
  • lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%.

L’incentivo spetta per le assunzioni a tempo indeterminatoe per le trasformazioni a tempo indeterminato di un rapporto a termine, anche a tempo parziale, decorrenti dal 1.01.2016.
Tuttavia, è opportuno ricordare che, per i lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, l’incentivo può essere riconosciuto, per tutta la durata del contratto, anche per le assunzioni a tempo determinato, purché tali rapporti abbiano una durata non inferiore a 12 mesi.

Quanto alla durata e all’entità dell’agevolazione le stesse variano in funzione del tipo di assunzione/trasformazione e delle caratteristiche della persona assunta; in particolare l’incentivo è pari al:

  • 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per i lavoratori disabili assunti a tempo indeterminato che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra, per una durata di 36 mesi;
  • 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per i lavoratori disabili assunti a tempo indeterminato che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79% o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria delle tabelle annesse al T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra, per una durata di 36 mesi;
  • 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per i lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, per una durata di 60 mesi;nelle ipotesi di assunzione a tempo determinato, l’incentivo spetta per tutta la durata del rapporto, fermo restando che, ai fini del riconoscimento dell’incentivo, il contratto deve avere una durata non inferiore a 12 mesi.

Per quanto concerne le condizioni richieste per la fruizione del beneficio l’assunzione deve, innanzitutto, realizzare un incremento occupazionale netto del numero dei dipendenti assunti a tempo indeterminato secondo i criteri fissati dall’art. 31, c. 1, lett. f) D.Lgs. 14.09.2015, n. 150.

Inoltre, come per la generalità degli incentivi alle assunzioni, anche per tale agevolazione è richiesto il rispetto di quanto sancito dall’art. 1, cc. 1175 e 1176 L. 296/2006, ossia l’adempimento degli obblighi contributivi; l’osservanza delle norme poste a tutela delle condizioni di lavoro; il rispetto degli altri obblighi di legge; il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Quanto al rispetto dei principi generali in materia di fruizione degli incentivi all’occupazione, previsti dall’art. 31 D.Lgs. 150/2015, l’Istituto previdenziale ha precisato che per le assunzioni effettuate entro la cd. “quota di riserva” gli stessi non possono trovare applicazione, mentre per le assunzioni effettuate oltre la suddetta quota gli stessi dovranno essere rispettati.
Per poter fruire della misura in commento il datore di lavoro non deve rientrare tra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in conto bloccato, gli aiuti individuali definiti come illegali o incompatibili della Commissione Europea (art. 46 L. 24.12.2012, n. 234); inoltre, il datore di lavoro non deve essere un’impresa in difficoltà, come definita dall’art. 2, par. 18 Regolamento (CE) 651/2014.

Da ultimo, sempre in riferimento alle assunzioni dei lavoratori disabili, il nuovo decreto Lavoro ha introdotto, in via transitoria, un incentivo all’assunzione, da parte di enti del Terzo settore e di altri enti a essi assimilabili, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, di soggetti con disabilità e di età inferiore a 35 anni. Le assunzioni, per beneficiare dell’incentivo, devono essere o essere state effettuate nel periodo 1.08.2022-31.12.2023 per lo svolgimento di attività conformi allo statuto del datore di lavoro e riguardare soggetti con disabilità rientranti nell’ambito di applicazione del collocamento obbligatorio, di cui alla L. 12.03.1999, n. 68.
Le modalità di ammissione, quantificazione ed erogazione del contributo, le modalità e i termini di presentazione delle domande, nonché le procedure di controllo saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per le disabilità e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, da adottare entro il 1.03.2024.
Poiché, ad oggi, il decreto non è stato ancora emanato l’agevolazione risulta di fatto ancora inapplicabile.

Forfettario e ritenute

Tra gli altri chiarimenti forniti dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 5.12.2023, n. 32/E viene trattato il tema della ritenuta d’acconto e degli effetti che si genererebbero in caso di superamento del limite dei 100.000 euro di ricavi/compensi nell’anno.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 25, c. 1 D.P.R. 600/1973, i soggetti che corrispondono a soggetti residenti compensi per prestazioni di lavoro autonomo devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20% a titolo d’acconto, con obbligo di rivalsa.
Nel caso dei contribuenti forfetari tale obbligo è derogato dall’art. 1, c. 67 L. 190/2014, disponendo che i ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime forfetario non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta. Inoltre, il comma 69 dispone che i forfetari non sono nemmeno tenuti a operare le ritenute alla fonte sulle fatture ricevute.

Se il suddetto forfetario supera il limite dei 100.000 euro,fuoriesce immediatamente dal regime agevolato e i compensi percepiti dal professionista ex forfetario, una volta divenuto ordinario, sono assoggettati alla ritenuta d’acconto e dallo stesso momento egli stesso è tenuto a operare ritenuta sulle fatture ricevute.
Si ricorda che le ritenute devono essere operate all’atto del pagamento dei compensi; pertanto, devono essere operate sui compensi che comportano il superamento dei 100.000 euro “percepiti” e per quelli successivi, non devono invece essere operate sui compensi incassati precedentemente, ossia retroattivamente. Quindi, se per esempio la fattura che porta al superamento dei 100.000 euro è stata emessa il giorno 22.12, ma è stata incassata solo il 28.12 la ritenuta sulla stessa deve operarsi dal 28.12 e solo da tale data il professionista ex forfetario si rende anche sostituto di imposta per le fatture ricevute, a decorrere dal primo pagamento da effettuarsi successivamente al 28.12 (nel caso in esempio, anche laddove l’eventuale fattura già ricevuta non indichi l’importo della ritenuta).

La circolare 32/E suddetta fornisce un esempio pratico della questione: il professionista forfetario nel mese di settembre 2023 ha già fatturato e incassato compensi per 80.000 euro e nel mese di ottobre emette, nell’ordine, la fattura n. x di 4.000 euro, la fattura n. y di 30.000 euro e, infine, la fattura n. z di 5.000 euro. Nel mese di novembre è incassata la fattura n. y di 30.000 euro, che determina il superamento del limite di 100.000 euro di compensi «percepiti» nel corso del 2023 e la fuoriuscita immediata dal regime forfetario.
Di conseguenza, il professionista ex forfetario diventato ordinario e subisce la ritenuta d’acconto sia sul medesimo incasso della fattura n. y, sia al momento dell’incasso delle fatture n. x di 4.000 euro e n. z di 5.000 euro, in quanto le stesse verranno incassate dopo il superamento del predetto limite.
Ciò, in ossequio al già richiamato principio di legge secondo cui le ritenute sono operate “all’atto del pagamento” dei compensi.

I buoni pasto? Le scritture contabili per il datore di lavoro

Il datore di lavoro che scelga i buoni pasto al fine di erogare il servizio sostitutivo di mensa per i suoi dipendenti, è tenuto ad eseguire alcuni adempimenti e specifiche registrazioni contabili:

  • FASE 1 – nel momento in cui acquista i buoni pasto, sia cartacei che elettronici, dalla società emettitrice; Caso mensa diffusa e non.
  • FASE 2 – nel momento in cui consegna i buoni pasto ai dipendenti oppure momento in cui i buoni elettronici sono utilizzabili;
  • FASE 3 – nel momento in cui la società emettitrice invia al datore di lavoro la fattura dei buoni pasto elettronici erogati con la modalità della mensa diffusa.


FASE 1 – Scritture contabili da effettuare all’acquisto e alla (FASE 2) – consegna dei buoni pasto cartacei ed elettronici

Supponiamo che un’azienda Alpha Costruzioni Srl, nel mese di aprile, acquisti dalla società emettitrice buoni pasto per un valore di 2800 euro, gravati di IVA con aliquota agevolata al 4%.

  • Al momento dell’acquisto l’azienda (datore di lavoro) deve rilevare la voce fornitori buoni pasto nell’Attivo circolante dello Stato Patrimoniale (C5- quarter).

Stato Patrimoniale

 DAREAVERE
DEBITO V/FORNITORI (STATO PATRIMONIALE D7) 2912,00
FORNITORI BUONI PASTO (STATO PATRIMONIALE C5-QUATER)2800,00 
IVA SU ACQUISTI DETRAIBILE 4% (STATO PATRIMONIALE D12)112,00 


Mettiamo il caso che l’azienda, nel mese di maggio, abbia erogato ai dipendenti buoni pasto per un valore di 1500 euro.

  • FASE 2 – Al momento della erogazione dei buoni pasto ai dipendenti, il costo sostenuto per l’acquisto deve essere rilevato nel Conto Economico, alla voce Costi per Servizi (B.7), con la dicitura costi per buoni pasto ai dipendenti. Contestualmente, nello Stato Patrimoniale, si rileva in avere l’importo corrispondente ai buoni erogati alla voce fornitori buoni pasto
 DAREAVERE
FORNITORI BUONI PASTO (STATO PATRIMONIALE C5 QUATER) 1500,00
COSTI PER BUONI PASTO AI DIPENDENTI (CONTO ECONOMICO B7)1500,00 

Scritture contabili da effettuare nel caso di buono pasto erogato su card elettronica nell’ipotesi della c.d. “mensa diffusa”

Prendiamo il caso in cui l’azienda stipuli con la società emettitrice un contratto per la fornitura ai suoi dipendenti di una card elettronica abilitata per essere utilizzata nei giorni di presenza e negli orari definiti dal datore di lavoro e con la quale il dipendente abbia diritto ad ottenere un pasto ad un valore predefinito (c.d. mensa diffusa). La fattura che il datore di lavoro riceverà dalla società emettitrice conterrà solamente i buoni effettivamente utilizzati dai lavoratori e quindi, in questo caso, l’azienda pagherà solamente i buoni pasto effettivamente utilizzati.


Ad esempio: nel mese di maggio la società emettitrice invia all’azienda una fattura per l’acquisto di 100 buoni pasto forniti in modalità mensa diffusa del valore di 8,50 euro ciascuno.

  • In questo caso il datore di lavoro dovrà registrare l’acquisto dei buoni pasto solo nel momento in cui riceverà la fattura. Nello Stato Patrimoniale si rileva il debito verso i fornitori (D7), mentre nel Conto Economico si rilevano le spese sostenute per l’acquisto dei buoni pasto, alla voce costi per servizi (B7).
 DAREAVERE
DEBITO V/FORNITORI (STATO PATRIMONIALE D7) 884,00
SPESE PER BUONI PASTO (CONTO ECONOMICO B7)850,00 
IVA SU ACQUISTI DETRAIBILE 4% (STATO PATRIMONIALE D12)34,00 


Scritture contabili da effettuare nel caso di buono pasto erogato su card elettronica nell’ipotesi della c.d. “mensa diffusa”

Prendiamo il caso in cui l’azienda stipuli con la società emettitrice un contratto per la fornitura ai suoi dipendenti di una card elettronica abilitata per essere utilizzata nei giorni di presenza e negli orari definiti dal datore di lavoro e con la quale il dipendente abbia diritto ad ottenere un pasto ad un valore predefinito (c.d. mensa diffusa). La fattura che il datore di lavoro riceverà dalla società emettitrice conterrà solamente i buoni effettivamente utilizzati dai lavoratori e quindi, in questo caso, l’azienda pagherà solamente i buoni pasto effettivamente utilizzati.


Ad esempio: nel mese di maggio la società emettitrice invia all’azienda una fattura per l’acquisto di 100 buoni pasto forniti in modalità mensa diffusa del valore di 8,50 euro ciascuno.

  • In questo caso il datore di lavoro dovrà registrare l’acquisto dei buoni pasto solo nel momento in cui riceverà la fattura. Nello Stato Patrimoniale si rileva il debito verso i fornitori (D7), mentre nel Conto Economico si rilevano le spese sostenute per l’acquisto dei buoni pasto, alla voce costi per servizi (B7).
 DAREAVERE
DEBITO V/FORNITORI (STATO PATRIMONIALE D7) 884,00
SPESE PER BUONI PASTO (CONTO ECONOMICO B7)850,00 
IVA SU ACQUISTI DETRAIBILE 4% (STATO PATRIMONIALE D12)34,00 

(RISTORANTE CONVENZIONATO) Come rilevare in busta paga i buoni pasto?

Anche gli esercizi convenzionati con la società emettitrice sono tenuti a contabilizzare i buoni pasto. L’esercente di un ristorante, tavola calda, bar o supermercato dove il lavoratore si reca per consumare il pasto o acquistare generi alimentari pronti all’uso, è tenuto ad effettuare le registrazioni contabili nei due seguenti momenti:

  • al momento della somministrazione del pasto o dell’acquisto dei generi alimentari pronti all’uso;
  • al momento dell’emissione della fattura nei confronti della società emettitrice.


Facciamo un esempio concreto. Il ristorante ALCHIMIA di Favara nel giorno 10 aprile ha riscosso 100 buoni pasto da 10,00 euro per il pagamento di un pasto dello stesso importo.


Al momento del pagamento (consegna buono pasto) da parte dei clienti, l’esercente emette uno scontrino dello stesso valore del buono con la dicitura “corrispettivo non incassato”. Nell’importo indicato sullo scontrino è compresa anche l’IVA al 10% che dovrà essere versata dall’esercente (es. ristorante) solo quando quest’ultimo avrà emesso la fattura nei confronti della società emettitrice al fine di ottenere il pagamento dei buoni pasto (risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 394/2019).

A fine giornata vengono registrate le scritture contabili.

 DAREAVERE
CORRISPETTIVI NON RISCOSSI1000,00 
RICAVI 909,09
IVA NON ESIGIBILE 90,91


A fine mese l’esercente emette la fattura nei confronti della società emettitrice per ottenere il pagamento dei buoni pasto incassati. Mettiamo il caso che in un mese abbia incassato 100 buoni pasto del valore di 10 euro ognuno. Il calcolo della fattura, e di conseguenza dell’importo dovuto dalla società emettitrice avviene in questo modo:

BUONI PASTO INCASSATI1000,00
SCONTO DEL 10%-100,00
IMPORTO AL NETTO DELLO SCONTO900,00
BASE IMPONIBILE AI FINI IVA (900/1,1 (operazione di scorporo iva 10%)818,18
IVA (818,18X10%)81,82
TOT FATTURA900,00

Al momento dell’emissione della fattura in contabilità (ristorante) si rileva:

  • il credito verso la società emettitrice dei buoni;
  • la rettifica del ricavo rispetto a quello annotato nei corrispettivi dovendo tenere conto dello sconto concesso alla società emettitrice;
  • l’IVA esigibile eseguendo il giroconto della voce IVA non esigibile;
  • la chiusura del conto Corrispettivi non riscossi.
 DAREAVERE
CREDITI V/SOCIETA’ EMETTITRICE900,00 
RICAVI* rettifica ricavi90,91 
IVA NON ESIGIBILE90,91 
CORRISPETTIVI NON RISCOSSI 1000,00
IVA A DEBITO 81,82


Esiste anche un secondo metodo (metodo comodo e veloce) per contabilizzare i buoni pasto, che consiste nel registrare le scritture contabili relative ai buoni pasto solo al momento dell’emissione della fattura. In questo caso, la registrazione in partita doppia andrà eseguita in questo modo.

 DAREAVERE
CREDITI V/SOCIETA’ EMETTITRICE900,00 
RICAVI 818,18
IVA A DEBITO 81,82


Pagamenti sicuri e veloci con i servizi Day

Day offre agli esercenti partner diversi strumenti per rendere facile e veloce la gestione e il rimborso dei buoni pasto ricevuti in pagamento. Come il servizio Pagosubito, disponibile sia per i buoni cartacei, sia per i buoni elettronici, e la dematerializzazione, che consente di registrare i buoni pasto non appena li si riceve.

Sulle Buste Come rilevare in busta paga i buoni pasto? (CONSULENZA DEL LAVORO)

I buoni pasto non devono solo essere registrati in contabilità e tra le voci del bilancio aziendale, ma devono anche essere rilevati in busta paga. Dal momento, però, che fino a un certo importo sono esenti da tassazione e contribuzione, in busta paga verranno rilevati indicando sia la quota esente, sia la quota imponibile.


Mettiamo il caso che un’azienda eroghi a ciascuno dei suoi dipendenti dei buoni pasto cartacei del valore di 6,50 euro l’uno, e che un dipendente, nel mese di maggio, abbia diritto a 25 buoni pasto:

  • alla voce buoni pasto esenti verrà indicato l’importo di 100 euro (25 x €4,00=€100,00)
  • alla voce buoni pasto soggetti andrà indicato l’importo di 87,50 euro (25 x €2,50=€62,50)
DESCRIZIONE IN BUSTA PAGA
BUONI PASTO ESENTI100,00
BUONI PASTO SOGGETTI62,50


Se la stessa azienda eroga ai suoi dipendenti buoni pasto elettronici dello stesso importo indicato nell’esempio sopra, quel lavoratore, nella busta paga di maggio, troverà solo la voce buoni pasto non soggetti o esenti, perché i buoni elettronici sono esenti da tassazione e contribuzione fino alla soglia di 8 euro a buono.

DESCRIZIONE IN BUSTA PAGA
BUONI PASTO ESENTI162,50

Tassazione dei buoni pasto.

Come la maggior parte dei beni e servizi, i buoni pasto sono soggetti all’IVA:

  • ai buoni pasto elettronici viene applicata l’aliquota agevolata del 4%, e l’IVA può essere interamente detratta dalle aziende che li erogano ai propri dipendenti;
  • anche ai buoni pasto cartacei viene applicata l’aliquota del 4% e l’IVA può essere interamente detratta dalle aziende che li erogano ai propri dipendenti;
  • nel momento in cui un esercente accetta i buoni pasto come mezzo di pagamento dovrà emettere uno scontrino con la dicitura “corrispettivo non incassato” per il servizio di somministrazione di alimenti che ha reso al dipendente. L’esercente fatturerà quindi i buoni alla società emettitrice ed applicherà sia ai buoni cartacei, sia ai buoni elettronici un’aliquota del 10%.


Trattandosi di fringe benefits, i buoni pasto sono parzialmente soggetti a tassazione IRPEF e a contribuzione INPS e concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente se superano la soglia di esenzione stabilita dalla normativa (art. 51 del TUIR-Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Soglia che è fissata a 4 euro per i buoni pasto cartacei e a 8,00 euro per i buoni pasto elettronici.

Per il datore di lavoro, il costo sostenuto per l’acquisto dei buoni pasto è interamente deducibile al 100 dal reddito imponibile.

Titolo abilitativo per l’esecuzione dei lavori – SCIA non seguita da CILA superbonus

Quesito del 15.11.2023
Nell’ambito di un intervento di ristrutturazione edilizia su un’unità immobiliare unifamiliare vengono effettuati interventi agevolati con superbonus al 110%.
Per tale intervento è stata presentata una SCIA, depositata il 4.6.2021 e non integrata successivamente con CILA superbonus.
Poiché la CILA superbonus dovrebbe essere una procedura semplificata rispetto alla SCIA, si chiede se è possibile apporre il visto di conformità.

Risposta
Ai fini della fruizione del superbonus, pare potersi ritenere valida la SCIA (presentata in quanto titolo richiesto dalla normativa edilizia) non “agganciata” ad una successiva CILA superbonus ex art. 119 co. 13-ter del DL 34/2020.
La questione è stata affrontata in alcuni articoli pubblicati su Eutekne.info, cui si rimanda (cfr. Florio C. “CILAS necessaria per il 110% nel 2023 e per le opzioni di cessione e sconto“, Il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 16.9.2023 e Zanetti E., Zeni A. “Superbonus al 90% sulle spese 2023 per SCIA post 4 agosto 2021 senza aggancio di CILAS“, Il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 23.8.2023).
Si ritiene avvalori tali conclusioni la circ. Agenzia delle Entrate 13.6.2023 n. 13, § 1.1.1 (si rinvia a quanto osservato sul punto da Zanetti E., Zeni A. “Superbonus al 90% sulle spese 2023 per SCIA post 4 agosto 2021 senza aggancio di CILAS“, Il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 23.8.2023).
Ad avallo di quanto sopra, si richiama inoltre la Guida dell’Agenzia delle Entrate ottobre 2023 “Ricostruzione post sisma Italia centrale e superbonus 110%”, p. 26-27, domanda 12, ove si precisa che per gli interventi agevolati al contempo con il contributo per la ricostruzione e con il superbonus è necessario presentare la SCIA, il permesso di costruire o il titolo unico ex art. 7 del DPR 160/2010 (poiché tali titoli edilizi sono necessari per fruire dei contributi per la ricostruzione), mentre non occorre depositare anche la CILA superbonus ex art. 119 co. 13-ter del DL 34/2020.
A tali considerazioni di carattere generale si aggiunge che, nella vicenda in esame, la SCIA risulta essere stata depositata prima del 5.8.2021 (data di introduzione dell’obbligo di presentazione della CILA superbonus, a partire dalla quale è divenuto efficace il modello di CILA superbonus recato dall’Accordo Presidenza del Consiglio dei Ministri – Conferenza unificata 4.8.2021 n. 88).
A maggior ragione, dunque, nessuna decadenza dalla fruizione del superbonus parrebbe essere integrata nel caso di specie (sul punto, si rimanda anche al quaderno operativo ANCI luglio 2021 n. 28, p. 13).
Si aggiunge che, per gli interventi avviati prima del 5.8.2021 (come quello in esame), la circ. Agenzia delle Entrate 13.6.2023 n. 13 (§ 1.1.1) precisa che deve farsi riferimento “alla data di presentazione del diverso titolo abilitativo richiesto dalla normativa all’epoca vigente” (nel caso di specie, la SCIA) anche per riscontrare il rispetto dei requisiti richiesti:
– dall’art. 1 co. 894 della L. 197/2022 (applicazione del superbonus in misura pari al 110% per le spese sostenute nel 2023);
– dall’art. 2 co. 2 del DL 11/2023 (esclusione dal blocco delle opzioni di cessione del credito o sconto sul corrispettivo ex art. 121 del DL 34/2020).