Il reddito di lavoro autonomo e il principio di cassa

Il reddito di lavoro autonomo di cui all’art. 53 del TUIR deve essere determinato in base al principio di cassa, cioè effettuando la differenza tra i compensi percepiti e le spese effettivamente sostenute. Dispone in tale senso il successivo art. 54.

Il “principio di cassa” può sembrare di più facile applicazione rispetto alla competenza temporale, ma non è così. L’evolversi dei mezzi di pagamento, le rilevanti limitazioni all’uso del contante e la crescente diffusione dei mezzi di pagamento virtuali ha alimentato nel tempo i dubbi e le incertezze sull’individuazione del momento in cui l’incasso di un compenso può considerarsi operazione effettuata, quindi in grado di concorrere alla formazione del reddito. Lo stesso dicasi per le spese.

Le incertezze più rilevanti non riguardano le operazioni effettuate in contanti, bensì tramite l’utilizzazione di altri strumenti di pagamento come, ad esempio, gli assegni bancari, circolari, carte di debito (bancomat), carte di credito, ricevute bancarie, etc. In numerosi casi è possibile che l’incasso sia effettuato con uno strumento che non consente di ottenere l’immediata disponibilità della somma da parte dell’imprenditore o del professionista. L’individuazione del momento di avvenuto incasso, soprattutto per le operazioni che si pongono a cavallo tra due periodi d’imposta, diventa essenziale al fine di comprendere quando un componente reddituale attivo debba concorrere alla formazione del reddito di lavoro autonomo.

Incasso con denaro contante
I compensi relativi a prestazioni pagate con denaro contante si considerano percepiti nel momento in cui le somme entrano nella disponibilità del professionista. In questo caso sussiste perfetta coincidenza tra il momento del pagamento da parte del cliente e quello dell’incasso da parte del professionista. La medesima soluzione riguarda le spese.

Incasso con assegno bancario o postale
I compensi devono considerarsi percepiti quando il titolo entra nell’effettiva disponibilità, tramite la consegna o spedizione, del soggetto beneficiario della somma. Non rileva, quindi, il successivo versamento sul conto corrente bancario. Non è possibile differire l’avvenuto incasso semplicemente posticipando ad un esercizio diverso il versamento della somma sul conto corrente.

Il problema è stato preso in esame dall’Agenzia delle Entrate con riferimento agli esercenti arti e professioni.

L’Amministrazione finanziaria rispondendo ad un quesito con Risoluzione 29 maggio 2009, n. 138, ha affermato che l’esercente arte e professione deve considerare incassati i compensi nel momento in cui riceve materialmente l’assegno e non nel momento (successivo) in cui l’assegno viene materialmente versato sul conto corrente. In pratica l’assegno, quale mezzo di pagamento, equivale alla moneta corrente.

Analogamente, la consegna dell’assegno al creditore equivale all’effettuazione del relativo pagamento.

Incasso con assegno circolare
La soluzione è la stessa già esaminata con riferimento agli assegni bancari. Trattandosi di un mezzo di pagamento equivalente al denaro contante è irrilevante il materiale versamento sul conto corrente. Il principio è stato affermato non solo dalla citata Risoluzione n. 138/2009, ma anche dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/2010. Assume rilevanza, invece, il momento in cui l’assegno circolare entra nell’effettiva disponibilità del beneficiario.

Assegni bancari insoluti
Nell’ipotesi in cui gli assegni bancari ricevuti in pagamento siano insoluti, i compensi contabilizzati si considereranno di fatto come mai percepiti. Ai fini fiscali si richiede, come è intuibile, il buon fine dell’assegno bancario. Pertanto l’eventuale insoluto all’atto del versamento produce effetti retroattivi.

Incasso con bonifico bancario o postale
I dubbi sono stati chiariti dall’Agenzia delle Entrate. A tal fine non assume rilevanza la data di valuta risultante dall’estratto conto. Tale data è significativa ai soli fini bancari per il computo degli interessi. Si deve fare riferimento alla data di effettivo accredito, cioè al momento in cui il soggetto interessato acquista effettivamente la disponibilità della somma accreditata (data dell’operazione). In tal senso si è espressa la citata Circolare n. 38/2010.
La data di valuta interessa esclusivamente il rapporto tra il correntista e l’istituto di credito in quanto riguarda il conteggio degli interessi maturandi.

Incasso con carta di debito (bancomat)
La medesima soluzione di cui al punto precedente vale per gli incassi effettuati con carta di debito (bancomat). Si deve fare riferimento al momento in cui la somma di denaro è effettivamente disponibile sul conto corrente.
Analogamente, per l’effettivo sostenimento delle spese è necessario fare riferimento al momento in cui il professionista perda la disponibilità della somma giacente sul conto corrente.

Incasso mediante ordine di addebito (RID)
Anche per gli incassi effettuati mediante ordine di addebito (modello RID) valgono gli stessi principi ora esaminati per le operazioni effettuate tramite bonifico. Assumerà rilievo la data in cui il denaro è effettivamente disponibile sul conto corrente. La data di valuta è ancora una volta irrilevante.
Solitamente per le operazioni di incasso (accredito) la data di valuta è successiva rispetto a quella dell’operazione. Gli interessi iniziano a maturare successivamente rispetto al momento in cui la somma di denaro è effettivamente disponibile sul conto corrente.
Ad esempio se la data dell’operazione (di accredito) è il 30 dicembre dell’anno X e la data di valuta è il 2 gennaio dell’anno X + 1, il compenso si deve considerare percepito, ai fini fiscali, nell’anno X. Nello stesso anno il predetto componente reddituale concorrerà alla formazione del reddito di lavoro autonomo.
Per ciò che riguarda il versante delle spese, il professionista potrebbe utilizzare tale forma di pagamento per i canoni di locazione dell’immobile utilizzato quale sede dello studio professionale.

Pagamento con RIBA all’incasso o salvo buon fine
Un’altra forma di incasso frequentemente utilizzata è costituita dalla ricevuta bancaria all’incasso o salvo buon fine.
La ricevuta non costituisce, in effetti, una vera e propria forma di pagamento, ma se emessa con la clausola “salvo buon fine”, è utilizzata unicamente dal cedente prestatore al fine di ottenere dalla banca l’anticipazione del compenso della prestazione che, nella sostanza, non risulta ancora incassata. In ogni caso, che sia emessa “salvo buon fine” o “all’incasso”, viene trasferito sulla banca l’onere di avvisare con alcuni giorni di anticipo il cessionario/committente del pagamento che deve essere eseguito e della data in cui scade il termine. Indipendentemente dall’eventuale anticipazione, la ricevuta costituisce solo un avviso di scadenza, che può anche non essere ottemperato dal debitore, e non certamente un titolo di credito.
Il momento in cui il compenso può considerarsi percepito è quello dell’accredito sul conto corrente dell’avvenuto pagamento da parte del cessionario/committente che ha, di fatto, provveduto al ritiro della ricevuta bancaria. Non rileva, invece, la data in cui è avvenuta l’anticipazione dei fondi da parte della banca che costituisce, nella sostanza, una forma di finanziamento. La medesima soluzione vale per lo sconto fatture, l’anticipazione su documenti, etc.

Incasso con carta di credito
Per l’incasso dei compensi dovrebbe rilevare il momento in cui il professionista consegue l’effettiva disponibilità delle somme sul proprio conto corrente. Si deve fare riferimento ancora una volta alla data di accredito e non alla data di valuta.
Per i pagamenti effettuati è irrilevante il momento in cui il titolare della carta di credito registra (solitamente nel mese successivo) l’addebito sul proprio estratto conto delle spese effettuate (solitamente nel mese precedente). Il soggetto titolare del rapporto chiude il proprio debito con il fornitore nel momento in cui utilizza la carta di credito. In questa ipotesi il pagamento deve considerarsi in ogni caso effettuato anche se, successivamente, il titolare della carta è debitore di una somma pari a tutte le spese effettuate nei confronti del “gestore” della carta di credito stessa.
Ad esempio, se il professionista effettua il pagamento delle spese di cancelleria utilizzando la carta di credito il 30 dicembre del 2021, la spesa si considererà effettivamente sostenuta nel medesimo periodo di imposta. Ciò anche laddove il saldo addebito risultante dall’estratto conto della carta di credito sarà addebitato durante il mese di gennaio dell’anno successivo (il 2022).
Ulteriori chiarimenti sul tema sono stati forniti dall’Agenzia delle Entrate con Risoluzione 23 aprile 2007, n. 77. L’istante chiedeva se i contributi previdenziali versati da un professionista con utilizzo della carta di credito il 15 dicembre, ma addebitati sul conto corrente il 15 gennaio dell’anno successivo, potessero essere considerati in deduzione con riferimento alla prima data, vale a dire quella relativa all’ordine di pagamento, oppure dovevano considerarsi dedotti con riferimento alla seconda data di addebito sul conto corrente. L’Agenzia delle Entrate ha esaminato preliminarmente la questione sotto il profilo civilistico, precisando come il pagamento effettuato con carta di credito integri una delegazione passiva di pagamento allo scoperto, disciplinata dagli artt. 1269 e ss. del c.c. Pertanto, si verifica una modificazione soggettiva dal lato passivo del rapporto obbligatorio tale che, se il delegato esegue il pagamento, la prestazione da lui eseguita al delegatario vale come effettuata dal delegante e vale, contemporaneamente, come effettuata dal delegato al delegante. Conseguentemente, il momento rilevante, ai fini del versamento effettuato con carta di credito, è quello in cui la stessa viene utilizzata. Il successivo momento in cui avviene l’addebito sul conto corrente riguarda, secondo l’Agenzia delle Entrate, un rapporto interno che coinvolge esclusivamente il delegante e il delegato, ed è irrilevante ai fini fiscali.

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