Ristorante Didattico, Bar didattico, Service didattico

Da tempo in diverse Regioni italiane sono in essere diverse esperienze tese a riconoscere la “formazione in assetto lavorativo” all’interno di iniziative produttive di istituzioni scolastiche, al fine di favorire l’apprendimento e superare le distanze tra realtà scolastica e lavorativa. Si tratta della cosiddetta “impresa formativa” che si ispira alle esperienze d’imprese di formazione, le EFT (Enterprise de Formation par le travail) sul modello belga.
La risposta sul bar didattico data dall’Agenzia delle Entrate (risposta n. 446/2019) a seguito dell’interpello dell’istituto scolastico, analizza il tema dell’impatto fiscale di queste iniziative produttive, atteso che nel contesto di cui sopra le istituzioni scolastiche, nell’esercizio di compiti di formazione ed educativi, hanno facoltà di svolgere attività di servizi per conto terzi, nonché di alienare i beni prodotti nell’esercizio di attività didattiche o di attività programmate (art. 38 D.I. n. 44/2011).
Il caso in esame riguarda appunto un istituto scolastico statale. Nell’ambito dei progetti messi in atto per le finalità didattiche ed educative dell’istituto, il collegio docenti valuta la possibilità di aprire un bar didattico all’interno dei propri locali, in orari ben definiti, con la somministrazione solo di alcune tipologie di bevande e merende degli studenti che frequentano il medesimo istituto e al personale in servizio.
Dalla risposta dell’Agenzia si evince che l’impatto fiscale di questa nuova modalità formativa riguarda 2 punti fondamentali:
– la natura giuridica dei soggetti che esercitano l’attività;
– la natura ai fini fiscali (Iva e imposte dirette) dell’attività esercitata.
Quanto al primo punto, ai fini delle imposte dirette, la scuola (in quanto ente pubblico che svolge una funzione statale quale l’attività di istruzione superiore) effettua un’attività che assume i connotati propri di non commercialità (attività decommercializzata ai sensi dell’art. 74, c. 2, lett. a) del Tuir), rappresentando questo laboratorio un’attività didattica istituzionale.
Sia permessa una nota. Sarebbe interessante verificare l’inquadramento fiscale se la stessa attività fosse svolta da un ente privato (commerciale o non commerciale ai sensi dell’art. 73, c. 1, lett. b) o c) del Tuir). Gli eventuali proventi costituenti corrispettivi della somministrazione di alimenti e bevande dovrebbero, a nostro avviso, costituire attività commerciale, rilevante ai fini della tassazione.
E ora torniamo a noi. Per gli aspetti Iva, l’Agenzia delle Entrate osserva anzitutto che, allo scopo di stabilire se una determinata attività sia resa da un ente non commerciale in veste commerciale o meno, l’art. 4 , c. 4 D.P.R. 633/1972 prevede che si debbano considerare nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di sevizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali.
Premesso che l’attività di “bar didattico” si inserisce, come già detto, nel progetto formativo dell’istituto e rappresenta il naturale completamento del percorso di professionalizzazione degli studenti, nel caso in esame non sembra sussistere una specifica organizzazione dell’istituto per la realizzazione dell’attività.
In considerazione delle menzionate circostanze, l’Agenzia afferma che la descritta attività di bar didattico non si può qualificare come attività imprenditoriale e, in assenza del presupposto soggettivo di cui all’art. 4, c. 4, citato sopra, non assume rilevanza ai fini Iva.

Fotovoltaico, unico rigo RL14 (solo se)

Al ricorrere di specifiche condizioni anche l’energia derivante da un impianto fotovoltaico deve essere indicata in sede di dichiarazione dei Redditi. Di seguito approfondiamo insieme la rilevanza fiscale di tale fattispecie nonché le regole e modalità di compilazione del modello 730/2023 o Redditi PF/2023 nei casi in cui sia obbligatoria la dichiarazione.

Premessa

In tale contesto, anche grazie agli incentivi fiscali previsti, è cresciuta l’attenzione per la produzione di energia mediante l’impiego di fonti alternative rispetto alle tradizionali risorse. Tra queste, spicca l’installazione di impianti fotovoltaici finalizzati alla produzione di energia elettrica per cui sono riconosciute diverse detrazioni IRPEF (ecobonus, Superbonus e bonus impianti fonti rinnovabili regionali).

Ma quale rilevanza attribuire all’eventuale produzione di energia eccedente rispetto al fabbisogno quotidiano di chi li ha installati?

Scambio sul posto e vendita dell’energia eccedente

In linea generale, il ritorno economico per il soggetto che installa l’impianto fotovoltaico, non riguarda soltanto il mero autoconsumo (che pure è la componente prioritaria), ma anche la cessione dell’energia esuberante sul mercato.

Nel dettaglio, tale eccedenza può formare oggetto di:

  • scambio sul posto (per impianti sino a 20 Kw): si tratta di una particolare forma di autoconsumo in sito che consente di compensare l’energia elettrica prodotta e immessa in rete in un certo momento con quella prelevata e consumata in un momento differente da quello in cui avviene la produzione;
  • cessione alla rete dell’energia in surplus tramite vendita diretta (iscrizione al mercato dell’energia elettrica) o vendita indiretta (convenzione con il gestore dell’energia).

Il beneficio economico derivante dall’autoconsumo non è tassabile, in quanto derivante dalla riduzione dei prelievi di energia dalla rete nazionale. È invece soggetto a tassazione l’introito derivante dalla cessione dell’energia alla rete elettrica.

Qualora ci si avvalga della procedura dello “scambio sul posto”, i pagamenti sono di due tipologie:

  • contributo in conto scambio: si tratta di un rimborso parziale delle bollette elettriche, non rilevante ai fini fiscali per gli utenti privati;
  • l’eventuale liquidazione delle eccedenze maturate nell’anno da richiedere al Gestore dei servizi energetici (GSE), da tassare come redditi diversi ex art. 67 TUIR.

Anche in caso di cessione in rete dell’energia, i proventi conseguiti rilevano ai fini IRPEF come redditi diversi, essendo configurabile un’attività commerciale ancorché svolta in maniera non abituale (art. 67, comma 1, lett. i, del TUIR).

La base imponibile è data dalla differenza tra il corrispettivo percepito e i costi specificatamente sostenuti per ottenerli.

Al riguardo si evidenzia che il costo relativo all’acquisto o realizzazione dell’impianto fotovoltaico non può essere considerato come specificatamente inerente alla produzione del suddetto reddito ex art. 71, comma 2 del TUIR. L’impianto fotovoltaico, infatti, è utilizzato prevalentemente per i bisogni energetici dell’utente (uso domestico di illuminazione, alimentazione di elettrodomestici etc.) e solo marginalmente produce reddito imponibile.

I proventi non devono in ogni caso essere assoggettati ad IVA per mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi.

Il corretto inquadramento della tariffa omnicomprensiva

La tariffa omnicomprensiva è l’incentivo che viene erogato dal GSE al responsabile dell’impianto fotovoltaico, in relazione all’energia immessa in rete. È così denominata poiché determinata come somma tra:

  1. una tariffa incentivante base;
  2. e il corrispettivo per la vendita dell’energia al GSE.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate la tariffa omnicomprensiva, ancorché composta di due quote, si configura come corrispettivo essendo corrisposta unitariamente a fronte dell’immissione in rete dell’energia elettrica prodotta e non autoconsumata (cfr. circolare 36/E/2013).

Con la circolare n. 46/2007 è stato inoltre precisato che la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica non configura lo svolgimento di un’attività commerciale quando la stessa deriva da impianti di potenza fino a 20 Kw posti a servizio dell’abitazione o della sede dell’ente non commerciale. Tale interpretazione discende dalla considerazione che gli impianti, in tal caso, sono destinati a soddisfare principalmente i bisogni personali.

Con la risoluzione n. 88/E/2010 sono state fornite indicazioni in ordine alla “tariffa fissa omnicomprensiva” corrisposta ai produttori di energia elettrica, mediante fonti diverse dal fotovoltaico, che immettono in rete l’energia non autoconsumata.

In tale occasione, è stato precisato che la suddetta tariffa, formata da due componenti (incentivo e prezzo), a differenza della tariffa incentivante, costituisce un corrispettivo, essendo erogata unicamente a fronte dell’immissione in rete dell’energia. Conseguentemente, tale incentivo assume rilevanza ai fini delle imposte dirette come reddito diverso, disciplinato dall’art. 67, comma 1, lett. i), del TUIR (risoluzione n. 88/E del 2010).

Sulla questione è quindi intervenuta la DRE Lazio (DRE Lazio, Risp. a istanza di interpello 6 dicembre 2012, n. 954-174106) che, in risposta ad una richiesta del GSE in merito al trattamento fiscale delle tariffe riconosciute dal quinto conto energia (D.M. 5 luglio 2012) ha chiarito che:

La compilazione del modello dichiarativo

Come anticipato, solo in ipotesi di vendita dell’energia eccedente o nel caso di tariffa omnicomprensiva (per le suesposte considerazioni delle Entrate) scatta l’obbligo di riportare il corrispettivo percepito nella dichiarazione dei redditi del proprietario dell’impianto.

In questo caso, infatti, secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, i proventi derivanti dalla vendita dell’eccedenza rappresentano redditi diversi e, in particolare, redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (circolare n. 46/E del 2007).

Ne consegue che tale eccedenza è da riportare:

  • al rigo D5, se si presenta il Modello 730;
  • oppure al rigo RL14, se si presenta il Modello Redditi.

Si supponga che nel corso del 2022 l’avvocato Verdi abbia ricevuto da parte del GSE la liquidazione delle eccedenze maturate nell’anno per un importo di 515 euro. In sede di presentazione del modello Redditi PF il contribuente dovrà compilare il rigo RL14 come di seguito:

Per dichiarare la liquidazione delle eccedenze si ricorda che è necessario acquisire e conservare la relativa certificazione scaricabile dal sito del GSE, seguendo l’apposita procedura.

I passaggi per scaricare la certificazione delle eccedenze ricevute all’interno del Portale dedicato sono i seguenti:1Accedere all’area Clienti GSE2Selezionare “Servizi”3Nella pagina dedicata è possibile visualizzare i servizi per se stessi (se titolari di un contratto con il GSE) e per altri (ovvero per gli operatori a cui si risulta associati)4Cliccare sul servizio di Scambio sul posto e accedere al portale dedicato5Selezionare “Comunicazioni”/“Ricerca” e poi effettuare il download del documento per l’anno di riferimento

Nel corso del 2022 il contribuente Mario Rossi, lavoratore dipendente, ha ricevuto dal GSE, a titolo di tariffa omnicomprensiva un importo pari a 906,87 euro, opportunamente certificato con il prospetto sintetico riportato di seguito:


Trattandosi di reddito diverso, in sede di compilazione del modello 730/2023 tale andrà inserito nel rigo D5, con codice “1” – “Redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” del quadro D:

Riferimenti normativi:

Demolizione e ricostruzione dell’edificio con aliquota IVA da valutare (10 o 4 o inversione contabile, no se contratto unico)

Da alcuni anni è stato ampliato lo spettro di casi in cui la demolizione e ricostruzione di un edificio esistente può essere considerato intervento di “ristrutturazione edilizia”, anziché “nuova costruzione”.
Per effetto dell’art. 10 del DL 76/2020, è stata infatti modificata la nozione di “ristrutturazione edilizia” prevista dalla lett. d) dell’art. 3 del c.d. Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/2001).

Questo comporta, tuttora, alcuni dubbi in merito alla corretta aliquota IVA applicabile e, in alcuni casi, all’assolvimento dell’imposta con il meccanismo del reverse charge o meno. 

Per determinare il trattamento IVA applicabile a opere di demolizione e ricostruzione (o di costruzione ex novo), è, prima di tutto, essenziale comprendere quale sia la collocazione dell’intervento dal punto di vista urbanistico.
A tal fine, assume rilevanza quasi decisiva la qualificazione dell’intervento così come risultante dal relativo titolo di abilitazione amministrativa rilasciato dal Comune o altro ente territoriale competente in materia di classificazioni urbanistiche (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 564/2020).

Peraltro, in base a un consolidato orientamento di prassi, la qualificazione urbanistica dell’intervento, pur comportando dirette implicazioni con riferimento ai profili fiscali dell’operazione, non rientra tra le competenze dell’Amministrazione finanziaria (ad es., cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 23/2022 e ris. n. 41/2009).
Per questa ragione, solo agli interventi di recupero che rientrano nella previsione di cui alla lett. d) dell’art. 3 del DPR 380/2001 può applicarsi l’aliquota IVA del 10% per le ristrutturazioni edilizie a norma del n. 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72 (risposta a interpello n. 604/2020), ivi incluse le prestazioni consistenti nella demolizione di una struttura esistente e successiva realizzazione di un nuovo edificio, a prescindere dalla destinazione d’uso dell’immobile (risposta a interpello n. 446/2020).

Per altro verso, se non si è in presenza di un intervento di nuova costruzione, non è possibile fruire dell’aliquota del 4%, facendo valere i requisiti “prima casa” (risposta a interpello n. 564/2020).

Potrebbe anche accadere, tuttavia, che sia contemplato un doppio intervento edilizio (corrispondente alla ristrutturazione della porzione preesistente e all’ampliamento della volumetria), seppure nell’ambito di un unico contratto di appalto.
Questo impedirebbe l’immediata applicazione dell’aliquota IVA prevista per le ristrutturazioni ovvero per gli interventi di nuova costruzione.

L’aliquota IVA del 4%, in presenza dei requisiti “prima casa”, tornerebbe infatti applicabile nelle sole ipotesi in cui dal contratto e dalle fatture emesse sia possibile individuare elementi che consentano una distinzione certa tra la quota parte del corrispettivo relativo agli interventi ampliativi e la quota parte afferente gli interventi di ristrutturazione della porzione di immobile preesistente (R.M. n. 223/96). È, però, necessario che i lavori si limitino al semplice ampliamento e che i locali di nuova realizzazione non configurino un’autonoma unità immobiliare (circ. Agenzia delle Entrate n. 19/2001, ris. n. 25/2005).

Se, invece, il contratto prevede un corrispettivo forfetario e unitario, alle prestazioni di servizi in esso pattuite dovrebbe ritenersi applicabile l’aliquota IVA più elevata, in virtù di un consolidato principio generale riguardante l’inscindibilità del contratto di appalto (R.M. n. 223/1996, ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2004, risposte a interpello nn. 41/2020 e 49/2020).
Sulla base di tale principio, sarebbe applicata l’aliquota del 10% (prevista per le opere di ristrutturazione edilizia), in quanto superiore rispetto a quella del 4% (prevista per le opere di nuova costruzione al ricorrere dei requisiti “prima casa”).

Alcuni servizi possono richiedere il reverse charge

Nel corso dell’intervento, è possibile che alcune opere – affidate a specifici appaltatori in un rapporto B2B – siano qualificabili come “servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento”, per i quali potrebbe applicarsi il meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72, purché detti servizi siano riconducibili ai codici ATECO individuati dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 14/2015.

Tuttavia, l’operatività del citato meccanismo viene meno se le prestazioni di servizi di cui sopra sono eseguite in forza di un unico contratto di appalto nell’ambito di un intervento di ristrutturazione edilizia ex art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/2001.
L’applicazione del reverse charge viene, altresì, esclusa nelle ipotesi in cui la demolizione dell’edificio (individuata dal codice ATECO 43.11.00) risulti strettamente funzionale alla successiva ricostruzione del medesimo (circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2015).

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