Demolizione e ricostruzione dell’edificio con aliquota IVA da valutare (10 o 4 o inversione contabile, no se contratto unico)

Da alcuni anni è stato ampliato lo spettro di casi in cui la demolizione e ricostruzione di un edificio esistente può essere considerato intervento di “ristrutturazione edilizia”, anziché “nuova costruzione”.
Per effetto dell’art. 10 del DL 76/2020, è stata infatti modificata la nozione di “ristrutturazione edilizia” prevista dalla lett. d) dell’art. 3 del c.d. Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/2001).

Questo comporta, tuttora, alcuni dubbi in merito alla corretta aliquota IVA applicabile e, in alcuni casi, all’assolvimento dell’imposta con il meccanismo del reverse charge o meno. 

Per determinare il trattamento IVA applicabile a opere di demolizione e ricostruzione (o di costruzione ex novo), è, prima di tutto, essenziale comprendere quale sia la collocazione dell’intervento dal punto di vista urbanistico.
A tal fine, assume rilevanza quasi decisiva la qualificazione dell’intervento così come risultante dal relativo titolo di abilitazione amministrativa rilasciato dal Comune o altro ente territoriale competente in materia di classificazioni urbanistiche (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 564/2020).

Peraltro, in base a un consolidato orientamento di prassi, la qualificazione urbanistica dell’intervento, pur comportando dirette implicazioni con riferimento ai profili fiscali dell’operazione, non rientra tra le competenze dell’Amministrazione finanziaria (ad es., cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 23/2022 e ris. n. 41/2009).
Per questa ragione, solo agli interventi di recupero che rientrano nella previsione di cui alla lett. d) dell’art. 3 del DPR 380/2001 può applicarsi l’aliquota IVA del 10% per le ristrutturazioni edilizie a norma del n. 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72 (risposta a interpello n. 604/2020), ivi incluse le prestazioni consistenti nella demolizione di una struttura esistente e successiva realizzazione di un nuovo edificio, a prescindere dalla destinazione d’uso dell’immobile (risposta a interpello n. 446/2020).

Per altro verso, se non si è in presenza di un intervento di nuova costruzione, non è possibile fruire dell’aliquota del 4%, facendo valere i requisiti “prima casa” (risposta a interpello n. 564/2020).

Potrebbe anche accadere, tuttavia, che sia contemplato un doppio intervento edilizio (corrispondente alla ristrutturazione della porzione preesistente e all’ampliamento della volumetria), seppure nell’ambito di un unico contratto di appalto.
Questo impedirebbe l’immediata applicazione dell’aliquota IVA prevista per le ristrutturazioni ovvero per gli interventi di nuova costruzione.

L’aliquota IVA del 4%, in presenza dei requisiti “prima casa”, tornerebbe infatti applicabile nelle sole ipotesi in cui dal contratto e dalle fatture emesse sia possibile individuare elementi che consentano una distinzione certa tra la quota parte del corrispettivo relativo agli interventi ampliativi e la quota parte afferente gli interventi di ristrutturazione della porzione di immobile preesistente (R.M. n. 223/96). È, però, necessario che i lavori si limitino al semplice ampliamento e che i locali di nuova realizzazione non configurino un’autonoma unità immobiliare (circ. Agenzia delle Entrate n. 19/2001, ris. n. 25/2005).

Se, invece, il contratto prevede un corrispettivo forfetario e unitario, alle prestazioni di servizi in esso pattuite dovrebbe ritenersi applicabile l’aliquota IVA più elevata, in virtù di un consolidato principio generale riguardante l’inscindibilità del contratto di appalto (R.M. n. 223/1996, ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2004, risposte a interpello nn. 41/2020 e 49/2020).
Sulla base di tale principio, sarebbe applicata l’aliquota del 10% (prevista per le opere di ristrutturazione edilizia), in quanto superiore rispetto a quella del 4% (prevista per le opere di nuova costruzione al ricorrere dei requisiti “prima casa”).

Alcuni servizi possono richiedere il reverse charge

Nel corso dell’intervento, è possibile che alcune opere – affidate a specifici appaltatori in un rapporto B2B – siano qualificabili come “servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento”, per i quali potrebbe applicarsi il meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72, purché detti servizi siano riconducibili ai codici ATECO individuati dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 14/2015.

Tuttavia, l’operatività del citato meccanismo viene meno se le prestazioni di servizi di cui sopra sono eseguite in forza di un unico contratto di appalto nell’ambito di un intervento di ristrutturazione edilizia ex art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/2001.
L’applicazione del reverse charge viene, altresì, esclusa nelle ipotesi in cui la demolizione dell’edificio (individuata dal codice ATECO 43.11.00) risulti strettamente funzionale alla successiva ricostruzione del medesimo (circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2015).

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Aliquota IVA per le ristrutturazioni non condizionata dalla CILA superbonus

Ai sensi dell’art. 119 comma 13-ter del DL 34/2020, gli interventi che consentono di beneficiare del c.d. superbonus “costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)”, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, esclusi quelli comportanti la demolizione e ricostruzione.

La formulazione letterale della norma potrebbe lasciare intendere che, alle opere edilizie per le quali è stata presentata la CILA e che costituirebbero “manutenzioni straordinarie”, si applichi il regime IVA previsto per le manutenzioni.
Seguendo questa tesi, peraltro, l’aliquota IVA potrebbe divergere rispetto a quella ordinariamente applicabile per opere che sarebbero, in via ordinaria, qualificabili come interventi di recupero o ristrutturazione edilizia ex art. 3 lett. c) e d) del DPR 380/2001 (laddove vi siano, ad esempio, lavori che coinvolgono le parti strutturali dell’edificio).

Le manutenzioni straordinarie su fabbricati che non siano a prevalente destinazione abitativa, difatti, richiedono l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria. Si pensi ai committenti che hanno la qualifica di ONLUS e, in particolare, alle RSA per le quali il superbonus beneficia dell’aliquota del 110% sino a fine 2025.
Per le manutenzioni su fabbricati abitativi, invece, l’aliquota del 10% sarebbe soggetta alla limitazione per i beni significativi, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99 (limite che non è previsto per gli interventi di recupero o ristrutturazione).

A livello sistematico, tuttavia, non pare condivisibile una posizione come quella sin qui descritta.
Le aliquote dovrebbero essere applicate secondo le norme ordinarie in materia di IVA e non essere condizionate dalla disposizione speciale recata dall’art. 119 comma 13-ter in esame, in quanto volta ad agevolare l’autorizzazione di inizio lavori richiedendo la CILA in luogo della SCIA anche per opere di maggiore entità.
La determinazione delle aliquote IVA, invece, rimarrebbe ancorata alla qualificazione degli interventi secondo il titolo edilizio, in base alle ordinarie definizioni del DPR 380/2001.

Pertanto, se le opere rientrano nell’ambito del restauro e risanamento conservativo (art. 3 lett. c) del DPR 380/2001) o della ristrutturazione edilizia (art. 3 lett. d) del DPR 380/2001), si applica l’aliquota del 10%, come ordinariamente previsto dal n. 127-quaterdecies) della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72.
Non consta che l’Agenzia delle Entrate si sia pronunciata in via ufficiale sul punto.

Tuttavia, a livello più generale (e prima della disposizione speciale in tema di CILA superbonus), l’Agenzia, esprimendosi in merito all’aliquota applicabile per la riqualificazione energetica, ha affermato che “per la corretta definizione degli interventi edilizi indicati dall’istante, occorre fare riferimento alla classificazione degli stessi ai sensi delle disposizioni dell’articolo 31, comma 1, della Legge 5 agosto 1978 n. 457”. Per questa ragione, “solo gli interventi di recupero rientranti nelle previsioni di cui alle lettere c), d) ed e) del sopra menzionato articolo 31 della legge n. 457 del 1978 (trasfuse nelle lettere c), d) ed f) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001), riguardanti, rispettivamente, il restauro e risanamento conservativo (cfr. lett. c); la ristrutturazione edilizia (cfr. lett. d) e la ristrutturazione urbanistica (cfr. lett. e), possono fruire dell’aliquota agevolata ai sensi del citato n. 127-quaterdecies” (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 604/2020).

Reverse charge escluso verso il general contractor

Per gli interventi edilizi che sono resi nei confronti di un “general contractor”, oltre all’aliquota, si pone un ulteriore dubbio in merito all’applicabilità (o meno) del reverse charge, previsto in via generale per i subappalti a norma dell’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72.

A livello letterale, è infatti esclusa la soggezione al reverse charge per le “prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori”.
Non è pacifico ritenere disapplicata la disposizione anche in presenza di un contraente generale di un committente privato. Tuttavia, la formulazione letterale della norma parrebbe consentire di pervenire a questa conclusione, perché “un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori” è un’espressione definitoria che identifica in modo chiaro la fattispecie, senza comprimerla in alcun modo ai casi in cui il committente che affida la totalità dei lavori sia un soggetto pubblico. La ratio della disposizione sembrerebbe quella di assimilare il rapporto nei confronti del contraente generale (in quanto soggetto cui viene affidata la totalità dei lavori) a un rapporto di appalto diretto, piuttosto che a un subappalto.

Resta applicabile il reverse charge per gli interventi specificamente riconducibili a quelli individuati dall’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72 (prestazioni di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici), per i quali non rileva lo status “soggettivo” del destinatario.

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Superbonus, scadenza al 31/12/2023. Quando e chi?

11-08-2023 – Per la quasi totalità dei contribuenti mancano poco più di tre mesi allo spirare del superbonus con aliquota del 110%.
Più precisamente, salvo future proroghe che potrebbero rientrare nella prossima legge di bilancio per il 2024 e che potrebbero riguardare i condomìni che devono ancora ultimare i lavori (il governo sta valutando al riguardo l’impatto di una eventuale proroga sul bilancio dello Stato e sul deficit 2024), mancano soltanto 111 giorni per sostenere le spese relative agli interventi agevolati.

Rimangono invece ferme sino alla fine del 2024 la quasi totalità delle altre detrazioni edilizie: la detrazione IRPEF prevista dall’art. 16-bis del TUIR per gli interventi volti al recupero edilizio con aliquota del 50% entro l’importo massimo di spesa pari a 96.000 euro per unità immobiliare (c.d. “bonus casa”), la detrazione IRPEF/IRES per gli interventi volti al risparmio energetico degli edifici (c.d. “ecobonus”) dal 50% al 75%, di cui all’art. 14 del DL 63/2013, la detrazione IRPEF/IRES c.d. “sismabonus” dal 50% sino all’85%, di cui all’art. 16 comma 1-bis ss. del DL 63/2013.
Rimarrà fino alla fine del 2025, inoltre, la detrazione IRPEF/IRES c.d. “bonus barriere 75%”, di cui all’art. 119-ter del DL 34/2020.

Tornando al superbonus, che dal 2024 nella stragrande maggioranza dei casi non sarà più super (in quanto nel 2024 e nel 2025 scenderà rispettivamente al 70% e al 65%) e che potrà essere meno conveniente rispetto alle altre agevolazioni fiscali che potrebbero spettare per l’esecuzione di determinati interventi edilizi, per quanto concerne le spese sostenute nel 2023, seppur l’aliquota della detrazione sia stata ridotta dal 110% al 90%, permangono ancora numerosi casi per i quali sino al 31 dicembre 2023 la detrazione rimane al 110% ove siano rispettate le condizioni stabilite dalla norma inerenti la data delle delibere condominiali e del deposito della CILAS (art. 119 comma 8-bis del DL 34/2020, art. 1 comma 894 della L. 197/2022 e art. 9 del DL 176/2022).

In seguito alle modifiche introdotte dall’art. 9 del DL 176/2022 (c.d. decreto “Aiuti-quater”) all’art. 119 del DL 34/2020, e delle disposizioni previste dall’art. 1 comma 894 della L. 197/2022, infatti, l’aliquota al 110% si può continuare ad applicare sulle spese sostenute fino al 31 dicembre 2023:
– per gli interventi effettuati dai condomini e dalle persone fisiche su parti comuni di edifici interamente posseduti fino a 4 unità, ma anche dalle persone fisiche per gli interventi sulle singole unità immobiliari all’interno dello stesso condominio o dello stesso edificio, oltre che dalle ONLUS, ODV e APS iscritte nei registri;
– per gli interventi effettuati dai soggetti di cui alle lett. c) e d) dell’art. 119 comma 9 del DL 34/2020 (IACP e cooperative edilizie), nonché dalle persone fisiche sulle singole unità immobiliari all’interno dello stesso edificio, fermo restando che il superbonus si estende alle spese sostenute sino alla fine del 2023 soltanto se alla data del 30 giugno 2023 siano stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo;
– con riguardo agli interventi effettuati da persone fisiche su edifici unifamiliari (“villette”) o anche su unità immobiliari “indipendenti e autonome” site in edifici plurifamiliari, che alla data del 30 settembre 2022 risultassero effettuati per almeno il 30% dell’intervento complessivo.

I sopraelencati soggetti, quindi, per poter fruire dell’aliquota del 110% dovranno sostenere le spese entro il 31 dicembre 2023. Nei casi in cui si intenda beneficiare della detrazione fiscale direttamente in dichiarazione dei redditi, infatti, non è obbligatorio realizzare i lavori corrispondenti a dette spese entro la medesima data, rimando fermo che affinché l’agevolazione competa è necessario che i lavori vengano (anche in un successivo momento) realizzati (cfr. risposta interpello Agenzia delle Entrate 31 gennaio 2022 n. 56).

Limitatamente al superbonus, di cui all’art. 119 del DL 34/2020, l’esercizio delle opzioni di cessione/sconto di cui all’art. 121 del DL 34/2020 è subordinato al duplice presupposto del sostenimento delle spese e dell’avvenuta esecuzione dei lavori corrispondenti a quelle spese (art. 121 comma 1-bis del DL 34/2020). In questi casi, quindi, entro il 31 dicembre 2023 non soltanto devono essere sostenute le spese, ma gli interventi corrispondenti devono anche essere realizzati.

Per un esiguo numero di soggetti, l’aliquota al 110% spetterà poi fino al 31 dicembre 2025:
– per gli interventi effettuati dai soggetti di cui alla lett. d-bis) dell’art. 119 comma 9 del DL 34/2020 (ONLUS, ODV e APS) che svolgono attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali, i cui membri del CdA non percepiscano alcun compenso o indennità di carica, purché oggetto degli interventi siano immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 o D/4 posseduti da tali soggetti in piena o nuda proprietà, oppure in usufrutto, oppure detenuti in comodato d’uso gratuito (comma 8-ter dell’art. 119 del DL 34/2020);
– per gli interventi nei Comuni colpiti da eventi sismici verificatisi a far data dal 1° aprile 2009 dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza (primo periodo del comma 8-ter dell’art. 119 del DL 34/2020).k